Novembre 21, 2025
Indagine Confcommercio-Swg: due terzi degli italiani vogliono più negozi sotto casa per avere maggiori opportunità di scelta e ridurre gli spostamenti. Ma, negli ultimi dieci anni, sono aumentate le chiusure di attività tradizionali, come librerie, negozi di abbigliamento, arredamento e alimentari.
Gli italiani vogliono vivere in quartieri più vivi, con negozi di prossimità capaci di offrire servizi, socialità e cura degli spazi pubblici. Secondo l’indagine Confcommercio–SWG, presentata a Bologna durante l’iniziativa “inCittà – Spazi che cambiano, economie urbane che crescono”, i negozi di vicinato sono considerati un asset fondamentale per la qualità della vita urbana. Per il 64% degli italiani favoriscono la socialità, per il 62% migliorano la pulizia degli spazi comuni, e per il 60% contribuiscono alla sicurezza. Non si tratta quindi solo di luoghi di acquisto, ma di infrastrutture sociali radicate nei quartieri.

La presenza di attività commerciali fa anche la differenza sul mercato delle abitazioni. Una casa in un’area ben servita da negozi vale in media il 23% in più rispetto a zone con offerta commerciale standard. Al contrario, nei quartieri colpiti da desertificazione commerciale il valore degli immobili cala del 16%, con un divario complessivo che può raggiungere il 39% rispetto alle aree più dinamiche.
Due italiani su tre chiedono più negozi sotto casa. A spingere questa richiesta sono due fattori: la possibilità di scegliere tra più alternative e la necessità di ridurre gli spostamenti quotidiani. Il desiderio di un mix tra piccoli e medi negozi tocca picchi del 75% nelle città medio-piccole e nel Mezzogiorno. In questo quadro, il trasporto pubblico è l’elemento più critico: nelle città con oltre 50.000 abitanti, il 58% degli intervistati ritiene che un miglioramento della mobilità favorirebbe una maggiore frequentazione di negozi e locali nei centri storici. Seguono la richiesta di più parcheggi (43%) e l’estensione delle aree pedonali (42%).
La chiusura di negozi è tra i segnali più allarmanti per gli italiani. L’80% prova un senso di tristezza nel vedere vetrine vuote e il 73% associa le saracinesche abbassate a un peggioramento della qualità della vita. Negli ultimi dieci anni, gli italiani hanno soprattutto notato la scomparsa di librerie, negozi di articoli sportivi e giocattoli (55%), di attività non alimentari come abbigliamento e profumerie (49%), oltre a ferramenta, negozi di arredamento (46%) e alimentari (45%). La tendenza è più marcata nel Nord-Est, nel Centro e nelle grandi città. Solo farmacie e pubblici esercizi mostrano una leggera crescita.
Nei consumi fisici, i negozi di quartiere dominano in alcune categorie: bar e pub (88%), farmacie (87%), tabaccai e quotidiani (85%). Supermercati e grandi superfici restano invece preferiti per i prodotti alimentari a lunga conservazione (64%), articoli sportivi (58%) ed elettronica (56%). Gli ambulanti mantengono un ruolo significativo per il fresco (11%) e per l’abbigliamento (10%).
Nelle città con forte pressione turistica, molti residenti percepiscono uno squilibrio nell’offerta commerciale: il 49% segnala la crescita eccessiva di attività legate al cibo e il 23% l’espansione di negozi rivolti ai turisti con prodotti di bassa qualità. Il 17% parla esplicitamente di sostituzione dei negozi tradizionali con attività turistificate, con conseguente perdita di autenticità.
Gli affitti brevi sono considerati un fattore rilevante nella crisi abitativa: metà degli intervistati li associa all’aumento dei canoni e il 42% alla riduzione degli alloggi disponibili. Solo il 24% riconosce un beneficio nel recupero di spazi inutilizzati, mentre prevale una percezione negativa (46%), soprattutto nelle grandi città.
Fonte: “Osservatorio sulla desertificazione commerciale nelle città” Confcommercio-SWG
Fonte: “Osservatorio sulla desertificazione commerciale nelle città” Confcommercio-SWG
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